Come nasce l’ispirazione per una storia? Come una stella dal buio
Come ti è venuta l’ispirazione? Tra tutte le domande che mi rivolgono i miei lettori, questa non manca mai, in nessun incontro, ed è quella di cui ho più timore. Perché è difficilissimo rispondere. È la più naturale delle domande da rivolgere a uno scrittore: se ci è piaciuta la storia, se ci ha emozionato, coinvolto, fatto riflettere, se abbiamo pianto e riso con i protagonisti viene spontaneo chiedere al suo “creatore” da dove sono venute le idee.
Già, ma dove vengono? Quando penso al processo creativo che seguo per le mie storie, non riesco a tracciare un cammino predefinito e questo mi pone in grande imbarazzo verso i miei lettori, perché non riesco a spiegarlo facilmente a parole. Proverò a descriverlo con una metafora “astronomica”: l’idea e la trama di base nascono nella mia mente come una stella che si accende di colpo nell’oscurità dello spazio; un momento prima non c’era nulla, quello dopo brilla un astro. Come e quando si è “accesa” di preciso non è dato saperlo, ma si sa che si è originata dall’insieme di polveri e materiali interstellari, che si sono amalgamati per dare vita a qualcosa di nuovo.
Se le mie storie sono come le stelle, le “polveri interstellari” che le compongono sono una miscela di vari ingredienti: spunti autobiografici, riflessioni personali, ricordi di accadimenti o di ciò che ho visto, studiato o vissuto, aggregati insieme dal collante della fantasia. Come si mescolano non lo so neanche io, fatto sta che a un certo punto nella mia mente si “accende” la stella di una nuova storia, con l’idea, la trama di base e i personaggi principali. Poi, ovviamente, viene la parte più “razionale”: una volta che la stella è accesa, bisogna alimentarla col duro lavoro, la tecnica e la disciplina.
Ho già parlato qui di come è nata la storia di Oscar il gatto custode; ora voglio parlare di quale sono stati alcune “polveri stellari” da cui è emerso il mio romanzo Una Spiga per Kahlim. Sono molti gli spunti autobiografici; il primo, e più importante, è stata la mia amica Margherita: siamo cresciute insieme frequentando la stessa classe dall’silo alla quinta liceo. A 30 anni, un tumore al polmone se l’è portata via. Da quel momento, ho sempre desiderato ricordarla in una delle mie storie, come a regalarle un po’ di immortalità. Per questo, ho scelto lo stesso nome per la protagonista di Una Spiga per Kahlim: il suo carattere generoso, la sua sensibilità verso chi è più debole, l’indignazione verso l’ingiustizia e la grinta per fare qualcosa in prima persona erano le caratteristiche principale del carattere della mia cara amica. E i racconti e le foto che mi faceva vedere dei suoi periodi in Africa, quando andava come volontaria nei centri di accoglienza per bambini di strada, mi hanno aiutato molto nelle descrizioni, sommandosi ai miei ricordi di viaggi in quelle terre.
Per la famiglia di Maua a Gulu (in Uganda), ho preso spunto dalla storia vera di un amico: anche lui si chiama Thomas, vive a Gulu con la moglie medico e le due bambine, nate laggiù, ed entrambi lavorano presso l’ospedale della città, proprio come la famiglia della protagonista. Il libro è in parte ambientato a Expo, la grande manifestazione che ha avuto davvero luogo a Milano da maggio a ottobre 2015 e che ho usato come espediente letterario per affrontare uno dei temi portanti del libro: la riflessione sulle diseguaglianze alimentari tra il Nord del mondo, malato di troppo cibo e spesso sprecone, e il Sud del mondo, che muore ancora per denutrizione.
Il romanzo si conclude con discorso di Kahlim a Expo, alla fine del romanzo, basato su una storia vera: quella di Severn Cullis-Suzuki, la bambina che, nel 1992, zittì il mondo per sei minuti. Molti altri, oltre a questi, sono gli elementi, ispirati o meno a fatti o persone realmente esistenti, alla base della genesi di Una Spiga per Kahlim; nella mia mente, si sono miscelati fra loro, insieme ad altri di fantasia, in un vortice di materia che hanno acceso la mia “ispirazione”.
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